Presentazione

Nullum est sine nomine saxum

Ovvero: “Non c’è sasso in terra che non abbia un’identità da mostrare e una storia da raccontare”

L’idea di fare la “La Festa del Nino” venne in mente sette anni fa, durante una gita in pullman da Urbino a Pennabilli, ad un gruppo di persone curiose che andavano alla ricerca, per strade secondarie, dei segni del mutare del paesaggio agrario. Si passava, curva dopo curva, davanti a vecchie case prima di mattoni poi di pietra bianca o d’arenaria dello stesso colore della terra dei campi. Cammin facendo i pioppi del fondovalle e i pini marittimi in cima ai colli lasciavano il posto ai frassini e ad un certo punto, nell’alta valle del Marecchia, lastre d’ardesia sostituirono i coppi sui tetti delle case. Dovunque, però, grandi querce fortificavano i seminativi argillosi, le strade e i ciglioni dei campi. Qualcuno chiese: “Il paesaggio cambia ad ogni curva, ma qual’è l’elemento che, costante, è presente dovunque sì da incarnare la tradizione e quasi lo spirito delle genti che abitano o hanno abitato questi luoghi?” Venne da rispondere: “Il Nino!”, perché non c’era casa di campagna che non avesse vicino lo “stalletto” ombreggiato dai fichi. Le querce, poi, sorreggevano dovunque l’architettura dei campi e di certo in ogni stalla si sarebbe trovata l’immagine di Sant’Antonio con il maiale.

Da questo primo passo, e dai molti altri successivi, è venuta fuori “La Festa del Nino” come occasione per leggere, scrivere, riscrivere, consumare e riprodurre, per cinque anni, quanto di cultura e tradizione il Nino comprende e sottende nel territorio delle alte Marche ma anche altrove. Il maiale era il frutto del risparmio della famiglia contadina e non a caso anche oggi i salvadanai, come quelli di terracotta fatti a Fratte Rosa, hanno spesso la forma del Nino ma in ogni capanna degli attrezzi, attaccata o adiacente alle abitazioni rurali, ce n’era un altro: un grosso barattolo pieno di ferri vecchi, chiodi, pezzi di latta, piastre di buoi, anelli di catene tutti arrugginiti. Ogni ferro aveva una forma ed era pronto, seppur logoro o rotto, ad assolvere di nuovo la stessa funzione già svolta oppure un’altra e per questa ragione si trovava lì. Era stato trovato per strada, raccattato e messo in saccoccia prima di andare a finire nel barattolo e con quest’atto era stata recuperata una risorsa e salvata una memoria. Il ripostiglio era esito e strumento di una cultura che veniva da molto lontano. Nullum est sine nomine saxum ovvero: “Non c’è sasso per terra che non abbia un’identità da mostrare e una storia da raccontare”, diceva Lucano nel Bellum civile, IX, v. 973. Anche Pasolini in un’intervista televisiva del 1973, camminando per un viottolo acciottolato che conduceva ad un’antica porta di Orte, ad un certo punto, disse che quella strada di sassi consumati dal calpestio di quel popolo umile ed anonimo che l’aveva costruita era l’architettura che amava. E’ la stessa architettura fatta di mattoni che, impastati da tante mani con tante terre dai tanti colori in tante case sparse mezzadrili, conservano, sulle mura dei borghi e delle abbazie come sui muri degli stalletti del Nino, la memoria delle terre e dei contadini marchigiani. “La Festa del Nino” vorrebbe essere anche questo: un’occasione per salvare, riconoscendola e coltivandola, la memoria di quell’umiltà ricca d’intelligenza e buon senso che ha fondato e costruito la nostra Civiltà. C’è già troppa finta “ricchezza” che costruendo distrugge, scialbando i vecchi muri carichi di storie e anche quell’immensa biblioteca a cielo aperto che è il territorio sempre più con meno segni della memoria così come la sua gente è sempre più povera d’identità.

Ivo Picchiarelli

Venerdì 18/01/2008

Sabato 19/01/2008

Domenica 20/01/2008

SOLLENNITA' RELIGIOSA DI SANT'ANTONIO ABATE